La Basilica

Nell’ottica della ricerca storica, la prima analisi del monumento è affidata all’interpretazione della produzione architettonica che permette di individuare un periodo che va dal VII al XII secolo. Il concorde tributo di ammirazione che percorre ed irraggia tanti secoli trova la sua origine in una primitiva comunità cristiana che sull’esempio di altre comunità vicine, si caratterizza per fervore religioso particolarmente sullo scorcio del VII secolo, quando nel territorio in questione deve essere stata costruita una piccola chiesa (Basilica paleocristiana) di cui si vedono con chiarezza le immorsature inglobate in una chiesetta posteriore del periodo pre-romanico (Basilica preromanica). Il pavimento del primo organismo si trova alla stessa quota del tratto scavato recentemente intorno alla “statio” romanica tramutata poi nell’XI secolo in Ospedale da Ruggero Borso. Questo pavimento è ad un metro sotto il livello del suolo sovrastante, e ad un metro dal piano della struttura romana. Di questa struttura paleocristiana sono visibili le strutture e si delinea chiaramente l’esistenza di una finestra fiancheggiata da lesene contro le quali corre il muro settentrionale. La denominazione liturgica del primo organismo sarà stata probabilmente quella di un generico complesso devozionale dedicato a S. Maria.

Il primitivo tempio sorse per volere di Guglielmo I re di Sicilia nel vasto cortile dell’Ospedaletto dei Crociati in sostituzione della primitiva cappella. Fu Ursone, Vescovo di Ruvo, a benedire la prima pietra. Il Vescovo molfettese Bovio riporta nella sua opera il testo della Bolla circa la Chiesa dei martiri. Egli dice che, poiché era assente il Vescovo di quella città dal Regno, nel marzo 1162, per ordine del Re Guglielmo, il nostro Ursone veniva chiamato a benedire il suolo su cui doveva sorgere la Chiesa della Madonna dei Santi Martiri pellegrini, dove erano sepolti i corpi dei santi pellegrini delle crociate. Il presule si recò con alcuni sacerdoti nella zona detta “carnaria” per benedire il suolo e non per consacrare la Chiesa che non ancora si era costruita. L’aspetto planimetrico-strutturale della Chiesa fine XI secolo ed inizio del XII, l’area della costruzione, il campanile, l’orientamento e le dimensioni, le cappelle che vi erano inserite oltre gli spazi funzionali, sono rintracciabili seguendo un manoscritto della Visita pastorale di Mons. Pompilio Sarnelli, un codice cartaceo del 1715. Il manoscritto permette di localizzare una torre di difesa, e così troviamo un altro elemento di delimitazione planimetrica dell’edificio sacro. Forse preesistente alla Chiesa romanica, struttura certamente monumentale, la torre fu inglobata dalla sacrestia che aveva una porta di accesso verso la cappella dove troneggiava il quadro della Vergine. Anche se non si possiedono conclusioni che portano ad affermare che la torre appartenesse all’ospedaletto vicino, è chiaro che in epoca imprecisata, divenne parte integrante della Chiesa Romanica e come può dedursi dall’unione con la sacrestia fu adibita anche ad uso liturgico. Di ben diversa consistenza è il significato di quel tratto di mura inglobato nella Chiesa del XIX secolo. Del vecchio edificio romanico resta anche questa parte perimetrale fra settentrione e ponente, che va ad affiancarsi all’ospedaletto di settentrione. Si nota dall’esterno in alto la struttura di una finestra, e partendo dal piano di calpestio, è visibile un’entrata di cui non riusciamo ancora a chiarirne la funzione. Dalla parte interna, una stuccatura precedente a quella che si vede in tutta la Chiesa neoclassica odierna. Questo tratto di muratura non è pareggiato con tutta la parte seguente che continua verso la facciata: vi è una specie di strozzatura forse al livello del tratto che costituiva la sacrestia che inglobava la torre. Il primitivo tempio era formato da una sola navata sormontata da due cupole gemelle. Delle due cupole una è chiaramente visibile ancor oggi, ricostruita dal Salerni; l’altra fu distrutta, ma l’elemento appena accennato visibile sull’arco dell’attuale presbiterio, può idealmente riportarci al testo originale architettonico anche se la costruzione posteriore lo ha reso quasi simile ad una breccia di nicchione. Le due cupole fecero naturalmente da modello ai “magistri” del duomo di Molfetta, molto più evoluto artisticamente del modello della Chiesa di S.Maria. Oggi di queste due cupole gemelle rimane solo una, cioè dove si trova l’abside dell’attuale chiesa. Nel 1700 fu aggiunta una nuova cupola, dietro l’altare maggiore dove attualmente è situato il coro ottocentesco.

Con l’arrivo dei frati minori fu costruito il convento e la nuova chiesa neoclassica. Il nuovo grande tempio, in stile neoclassico, è a tre navate con due ordini di colonne stuccate. La navata centrale è a tutto sesto, alta, maestosa, decorata a rosoni esagonali incassati. Sulla porta d’ingresso, su due colonne, è posizionata la tribuna sulla quale è collocato l’organo monumentale. Lungo le pareti laterali sono situati cinque altari in pregiati marmi policromi sui quali si trovano pregevoli opere d’arte. Partendo da destra: altare della Vergine del Soccorso o Madonna del Carmelo (autore ignoto del XVII sec.); altare di San Francesco con l’artistico grande manto di stucco che fa da sfondo alla tela; altare dell’Immacolata; subito dopo troviamo la cappella della Madonna dei Martiri, dove è custodita l’artistica statua ottocentesca di cui si parlerà successivamente. A sinistra dell’altare maggiore, nell’antica cappella dell’Annunziata, si trova il Santo Sepolcro, fedele riproduzione del sepolcro nel quale fu deposto il corpo di Gesù (1530). Il cappellone della Vergine dei Martiri è ciò che resta della Chiesa medioevale. Riprendendo l’osservazione degli altari laterali, troviamo, primo a sinistra, l’altare dell’Annunziata ed, infine, l’altare del Crocifisso con la splendida opera in legno della fine del XIV sec., già presente nella chiesa medioevale e precisamente in fondo al corridoio sovrastante la cappella, dove era situata anticamente l’icona della Madonna dei Martiri.